Pd, le ragioni di una sconfitta/Sono troppe le analisi inconcludenti e fuori dalla realtà

I liberali hanno battuto l'Italia del declino

La parte più dinamica della nazione ha votato per il Popolo della libertà

di Gianni Ravaglia

Goffredo Bettini si consola dichiarando che il Pd "ha insediato la più grande forza riformista che sia mai esistita in Italia". In realtà l'attuale 33% del Pd, che pure ingloba radicali e una parte considerevole della vecchia Dc, non raggiunge quel 35,4% che toccò il Pci nel 1976. La scomoda verità per questa sinistra è che, in 32 anni di svolte, esperienze di governo e di opposizione, assorbimento di classi dirigenti di altri partiti, pur avendo dalla sua gran parte della stampa, dei poteri bancari, universitari, della magistratura e della burocrazia statale, si ritrova con meno voti di quanti ne aveva raccolto Berlinguer.

Eppure, gran parte di quelli che si ritengono i più intelligenti, non hanno ancora capito le ragioni di una sconfitta. D'Alema, con supponente arroganza, pensa ancora che "se votassero solo quelli che leggono libri e giornali, non ci sarebbe partita". Giorgio Bocca, stordito dagli anni e dalla batosta, giudica mafiosa mezza Italia. Per gli ammazza cervelli di "Annozero" la maggioranza degli italiani è ignorante. Il fior fiore dei commentatori della carta stampata continua a ritenere che senza comunisti in Parlamento la nostra democrazia sia zoppa. Epifani si dice contrario all'abolizione dell'Ici e alla detassazione degli straordinari. Cremaschi, leader dei puri e duri della Fiom, sparla di una Lega "marxista di destra". Cofferati vuol fare un Pd federale nel Nord. Ecco: se si vuole capire perché i democratici hanno perso e i liberali hanno vinto, conquistando non pochi voti tra gli operai, basta leggere il florilegio di tali insensati commenti post elettorali.

E pensare che una risposta al perché del risultato del 14 aprile l'ha scritta, su "Repubblica", Ilvo Diamanti: "con un Pd forte soprattutto fra gli impiegati pubblici e i pensionati e un Pdl che lo supera nettamente fra gli imprenditori, i lavoratori autonomi, i dipendenti del privato e i giovani", questa sinistra non va da nessuna parte. E come mai la parte più statica e assistita della nazione sta a sinistra mentre quella più dinamica ed europea sta al centro? Scalfari, uno di quelli che, credendo di capire tutto, non legge nemmeno ciò che scrivono, sul suo giornale, i suoi colleghi, insiste: "Si può correttamente parlare di riformisti che puntano alla modernizzazione del paese, dell'economia, dello Stato, ai quali si contrappongono coloro che vogliono recuperare l'identità e la sicurezza. Il popolo sovrano che si è manifestato il 14 aprile è più localistico che nazionale, vive più il presente che il futuro, è più identitario che innovativo, più protezionista che liberale". Mieli invece, dal "Corriere", correggendo quanto ha scritto due anni fa, ha saputo cogliere ciò che lo schematismo scalfariano nega: "la sinistra non ha solide basi culturali di riferimento, le manca un Tremonti che produca analisi innovative". Alla buon'ora! Anche il "Corriere" riconosce che la palla dell'innovazione, della modernizzazione del paese, sta nel campo dei liberali, anche perchè questi hanno compreso che non si ha modernizzazione se non si recupera identità e sicurezza.

Al contrario, lo scalfarismo non comprende che se il popolo del lavoro, delle professioni, dell'impresa non assistita, decide di cambiare un'Italia statalista che succhia soldi e li sperpera senza fornire adeguati servizi, fa una scelta per l'interesse nazionale e il futuro della Nazione. Se vince chi denuncia l'insensatezza di avere, nella regione Lombardia, un dipendente ogni 2500 abitanti e nel Molise uno ogni 250, si può cominciare a sperare che si arrivi a ridurre il debito pubblico e a liberare risorse per la crescita dell'economia. Solo, poi, fighetti salottieri terzomondisti possono aprire le frontiere ai clandestini, lasciarli in libertà anche quando delinquono, senza capire che in tal modo si fa strame dello stato di diritto, oltre a creare pericoli e timori, soprattutto tra i ceti più indifesi. Né si può dire che sia scelta localistica quella di chi produce e, dovendo stare ore e ore sulle strade italiane ingolfate, si ribella al blocco delle infrastrutture. Né che guarda solo al presente chi si oppone alle politiche della decrescita che hanno scientificamente imposto l'aumento dei costi dell'energia per ridurre la competitività del sistema paese. Solo chi è obnubilato da schemi mentali può non capire che una globalizzazione non governata e i prezzi cinesi colpiscono in primo luogo i ceti più poveri. Dopo di che, gli insulti, il Pd del nord, la difesa corporativa del sindacalese, sono tutte fughe dalla realtà. Il problema è di avere cultura, progetti, politiche per aggredire questa, difficile, di realtà. I liberali hanno dimostrato di averli, i democratici no. Nonostante la positiva svolta veltroniana. D'altra parte, è una costante che, ai grandi appuntamenti con la storia del nostro paese, la sinistra arrivi in ritardo.